Chi Siamo - Rubini Festival
13396
page-template,page-template-full_width,page-template-full_width-php,page,page-id-13396,ajax_fade,page_not_loaded,,qode-child-theme-ver-1.0.0,qode-theme-ver-17.2,qode-theme-bridge,qode_header_in_grid,wpb-js-composer js-comp-ver-5.6,vc_responsive
 

Chi Siamo

IL COMITATO

Il Rubini Festival e il Concorso internazionale di Canto lirico G.B. Rubini sono possibili grazie al contributo del Comune di Romano, che ne è l’ideatore e il principale sostenitore, alla collaborazione della Fondazione OO. PP. G.B. Rubini, all’operato del Comitato Rubini.
Il Comitato Rubini è di fatto il “braccio operativo” dell’amministrazione comunale e della Fondazione Rubini per quanto attiene all’organizzazione di tutti gli appuntamenti intitolati al grande tenore romanese, che siano direttamente organizzati dalla stessa amministrazione cittadina.

Comitato Rubini 2023

Sebastian Nicoli
Sindaco del Comune di Romano di Lombardia

Chiara Brignoli
Assessore alla Cultura, Intercultura, Attrattività del Territorio, Politiche Giovanili

Abramo Bonomini
Presidente OO.PP. G.B. Rubini

Dario Bertulazzi

Cinzia Canavesi

Adele Ghilardi

Giambattista Grasselli

Stefania Pescali

Achille Piacentini

Marco Picchetti

Lucia Rocchiccioli

Amanda Rodolfi

Umberto Servidati

La Fondazione Opere Pie Riunite Giovan Battista Rubini

La città di Romano di Lombardia il 7 aprile 1794 ha dato i natali al celebre tenore Giovan Battista Rubini, che, per le sue straordinarie doti canore, è stato soprannominato il “Cigno di Romano”, L'”Usignolo d’Europa”, il “re dei tenori”, il “più fenomenale cantante insuperato e insuperabile di tutto il mondo”, dopo aver interpretato opere liriche in tutti i migliori teatri d’Italia e d’Europa.
Dopo la sua dipartita, avvenuta il 3 marzo 1854, lasciò erede universale dell’ingente patrimonio che accumulò negli anni della sua vita fortunata, la moglie Adelaide Comelli, che dispose delle sue ultime volontà e destinò gran parte dello stesso patrimonio alla attivazione di un Ginnasio (1880) di un Orfanatrofio maschile (1880) e all’erezione di un ricovero per vecchi musicisti (1885), individuando altresì i futuri amministratori di tali Enti.
Le amministrazioni delle II.PP.A.B., “Opera Pia G.B. Rubini Casa del Fanciullo”, “Ginnasio del Cavalier G.B. Rubini” e “Casa di Ricovero Musicale”, hanno separatamente operato fino al 24 febbraio 1988, data nella quale è stata presentata dai legali rappresentanti degli Enti la richiesta al fine di ottenere la fusione per unione delle II.PP.A.B. medesime, con la contestuale trasformazione dei fini in un unico Ente denominato “Opere Pie Riunite G.B. Rubini”.
Con D.P.G.R. n. 16820/299 in data 6 settembre 1989, in esecuzione della delibera della Giunta regionale n. 43561 del 6 giugno 1989, il Presidente della Regione Lombardia ha approvato la fusione delle citate II.PP.A.B. in un unico Ente denominato “Opere Pie Riunite G.B. Rubini”, con sede legale in Romano di Lombardia in via Comelli n. 2 e il nuovo Statuto che contempla finalità a favore di anziani, minori ed altri soggetti in particolare stato di bisogno, al fine di porre la nuova Istituzione nelle condizioni di erogare nuove e più moderne forme di assistenza.

Giovan Battista Rubini e Romano di Lombardia

Il grande tenore Giovan Battista Rubini nasce a Romano di Lombardia nel 1794 per poi partire alla conquista dell’intero mondo operistico ottocentesco, raccogliendo trionfi dall’Italia a Londra, da Madrid a Mosca passando per tutti i più grandi teatri italiani ed europei.
Tale il livello artistico di Rubini da spingere i più celebri compositori dell’epoca a creare per lui ruoli, spesso i principali, delle loro opere, che fossero affini alle sue particolarissime caratteristiche vocali. Vincenzo Bellini, con i ruoli di Elvino de La sonnambula, Arturo de I Puritani e Gualtiero de Il pirata, è stato certamente il compositore “più stregato” dalle straordinarie doti di Rubini, ma non il solo. Non va dimenticata Anna Bolena di Donizetti ed il ruolo di Percy di cui il tenore romanese è stato primo interprete.
Rubini, dunque, viene ricordato come uno dei maggiori tenori del secolo XIX e il massimo rappresentante dell’arte lirica italiana, tanto da essere anche insignito del titolo di “Colonnello imperiale dei musici di tutte le Russie” dallo Zar Nicola I.

Secondo le parole di Gino Monaldi, Rubini «(…) adorato come artista, fu amato come uomo. La generosità dei suoi sentimenti, la semplicità delle sue abitudini, la bontà del suo cuore gli fecero meritare l’amore sincero dei suoi simili, del quale raramente godono i grandi fortunati in questa terra».
Rubini è stato, quindi, non solo un artista di caratura eccezionale, ma anche e soprattutto un uomo di riconosciuta generosità verso la sua terra. Si spese per la comunità di Romano di Lombardia al punto da lasciare in eredità tutti i suoi averi per opere di bene: si deve a lui la fondazione di un istituto per musicisti anziani e indigenti, di un ginnasio e di un orfanotrofio, istituzioni che negli ultimi anni si sono fuse in un unico Ente le Opere Pie Riunite G.B. Rubini, che contempla finalità a favore di anziani, minori e altri soggetti in particolare stato di bisogno.

Dal 2014, la Città di Romano di Lombardia ha sviluppato numerose iniziative per celebrare la figura di Rubini, prima fra tutte il Concorso internazionale di canto lirico a lui dedicato e rivolto a cantanti lirici di ogni registro vocale e nazionalità.

Palazzo Rubini a Romano di Lombardia

Rubini aveva avuto modo di accumulare una fortuna immensa durante la sua lunga carriera teatrale; il suo carattere parsimonioso e l’inclinazione per la concretezza, ereditati senza alcun dubbio dal padre, l’ avevano certamente in ciò aiutato. Il suo primo amministratore era stato il padre al quale egli inviava con estremo scrupolo e regolarità i suoi lauti guadagni. La stessa prassi seguiva il fratello Giacomo, pure egli cantante, anche se, in considerazione della sua più modesta fama, il suo contributo finanziario era largamente più contenuto.
Il concetto era comunque lo stesso per entrambi: il padre raccoglieva i risparmi e li utilizzava per acquistare i beni più ambiti di quel tempo, ossia i beni immobili: terreni agricoli, case, cascine, che poi venivano intestati ai due fratelli in proporzione ai risparmi di ognuno.
Poi, quando il padre ebbe ad invecchiare e Giacomo si ritirò dalle scene, fu quest’ ultimo ad assumere l’ incombenza degli affari, sovrintendendo anche agli amministratori ed ai vari fattori negli immensi possedimenti agrari.
Un sistema di gestione familiare, dunque, assai efficace e prudente.
I possedimenti erano di tre tipologie diverse: edifici residenziali, case di campagne e fondi rurali con cascine annesse. Le residenze erano due: Palazzo Rubini in Romano e la casa con giardino a Milano in contrada della Cavalchina n. 1414-1415, in Borgo di Porta Nuova. Tale contrada, nella seconda metà dell’ ottocento, ebbe la nuova denominazione di via Daniele Manin n. 1.
Di questo edificio abbiamo poche notizie; era stato acquistato nell’ anno 1832 dal Conte Carlo Severino Vimercati e sistemato nel successivo anno sotto la direzione dell’ amministratore Ing. Carlo Caronni: riparazioni all’ edificio, riordino del giardino oltre che di quanto riguardava gli interni della grande casa perché fosse totalmente funzionante (tappezzerie, mobili, tessuti, chincaglierie). Solo una porzione della casa fu tenuta a disposizione della famiglia Rubini, l’ altra, compresi scuderia, rimesse, fienile, fu ceduta per affitti di breve durata (6 mesi o anche meno) a famiglie impegnate in tournée teatrali o in altre attività. Altre opere e rinnovi nell’ arredo furono eseguiti nel 1845, quando Rubini si ritirò dalla carriera e volle rinnovare un po’ tutte le sue proprietà. La residenza di Milano rimase, comunque, di secondaria importanza per la vita di Rubini, anche se, prima tutta la famiglia e successivamente la vedova Comelli, vi trascorsero lunghi periodi in diverse epoche. Alla morte della Comelli, fu trasferito in proprietà all’ Ente Casa di Ricovero Musicale.
Palazzo Rubini
Ben diversa è certamente l’ importanza, sia dal punto di vista architettonico che affettivo, dell’ edificio residenziale di Romano, denominato, per eccellenza, Palazzo Rubini; in verità per la loro consistenza volumetrica ed architettonica, anche la casa di Milano e, soprattutto, di Masano, potrebbero fregiarsi del nome di “palazzo”. Nel nucleo più antico di questo Palazzo, in contrada della Rocca, Rubini nacque, e qui ebbe a crescere e morire. L’ edificio primitivo era stato edificato dal padre, anch’egli di nome Giovan Battista, nel 1801, su progetto di Francesco Antonio Caniana, architetto alzanese di buona fama, col quale si procedette, lo stesso anno della sua firma, alla ristrutturazione ed al sopralzo di tre piani dell’ edificio.

Fu quella la residenza della famiglia del tenore, prima e dopo il matrimonio con la Comelli. Sembra di capire che il Nostro avesse rilevato la proprietà del padre, in quanto, fin dall’ inizio della carriera, ebbe ad aumentare l’ area, acquistando in epoche successive – tra il 1817 e il 1847 –tutti gli edifici adiacenti.
Il palazzo occupa l’ intiero comparto che va dalle attuali via Comelli a meridione, via Rubini a levante, vicolo chiuso a ponente e via Battisti a settentrione, con esclusione del settore nord-est tra le vie Rubini e Battisti, ove sorge un edificio a corte. Demolite le vecchie case, nell’ anno 1845-46 (è incerta la data, comunque successiva al 1845, anno del ritiro dalle scene), si diede inizio alla costruzione del palazzo nelle forme attuali tardo neoclassiche.

La fronte del Palazzo misura 43 metri e la profondità media è di 51 metri. Lungo i quattro lati del cortile della dimensione di metri 11 x 18, corre un porticato, sorretto da massicci pilastri in pietra, che dava accesso a vari locali di abitazione e di rappresentanza, con saloni decorati a fresco ed a stucco e pavimenti con mosaico alla veneziana.
Le scuderie per le carrozze e i cavalli erano ubicate nel rustico, verso est, dove recentemente (anno 1960) sono state costruite le nuove scuole; la residenza della servitù era nei sottotetti di settentrione, attualmente adibiti ad aule scolastiche. “La facciata che ha la parte centrale ornata da sei alte colonne ioniche ha il coronamento di una trabeazione neoclassica ed il timpano triangolare con tre marmoree statue allegoriche elevate su piedistalli.
Il timpano racchiude un medaglione con le due teste del fondatore e della consorte e figurazioni simboliche musicali con putti ed ornati decorativi. Abbelliscono poi le pareti dell’ interno del cortile di armoniche proporzioni, in cui si avverte il gusto dell’ architetto, le decorazioni in rilievo sopra le finestre con busti racchiusi in medaglioni contornati da festoni in forma di cornucopia”.
La descrizione è tratta da uno scritto di Luigi Angelini. Le tre statue allegoriche poste sopra il frontone sono opera dello scultore Luigi Gerli di Milano e rappresentano il Dolore, il Genio, e la Riconoscenza. I busti di personaggi in rilievo entro decorazioni floreali, cui accenna l’ Angelini, sono realizzati a stucco sopra una leggera intelaiatura sagomata e raffigurano noti personaggi della vita culturale bergamasca o nazionale: Mario Lupo, Jacopo Tintoretto, Jacopo Barozzi, Michelangelo Buonarroti, Veronica C. Tagliazucchi, Aldo Manuzio, Camillo Boccaccio, Nicola Cornelio, Lorenzo Mascheroni, Marco Polo, Raffaello, Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti, ed infine Paolina Gismondi Suardi. Altri due personaggi sono raffigurati in due medaglie poste sopra i balconi della facciata principale: Bartolomeo Colleoni e Torquato Tasso.
Lo schema distributivo della residenza era assai semplice. Al piano terreno erano i locali di rappresentanza e quelli di servizio generale; al primo piano le camere da letto, ed al secondo le camere per la servitù. Quattro le scale, due delle quali, assai modeste, erano riservate alla servitù.
L’ utilizzo improprio del palazzo per più di cento anni, ha assai deteriorato sia le strutture, che le decorazioni e l’ arredo. Nell’ ultimo decennio l’ Amministratore dell’ Ente ha profuso capitali ingenti, per il recupero degli ambienti e delle opere d’ arte; il cammino per il recupero totale è comunque assai lungo. Al piano terreno sono degni di menzione alcuni locali che si affacciano sul giardino, un tempo mantenuto all’ italiana, con una vasca d’ acqua al centro, e sulla corte interna.
La sala detta “La Rotonda” recentemente restaurata, aveva la funzione di salotto-soggiorno per la famiglia Rubini ed i numerosi ospiti; la sala, con tappezzerie d’ epoca, colonne a stucco lucido e pavimenti in mosaico alla veneziana, conserva un curioso sistema di riscaldamento ad aria, realizzato con stufe in ceramica che venivano alimentate dalla servitù all’ esterno del locale. E’ assai probabile che il sistema, all’ avanguardia per i tempi e di probabile provenienza inglese, fosse installato in tutto il palazzo. Alla “Sala del bigliardo”, in angolo sud-ovest, si poteva accedere direttamente dalla contrada della Rocca: essa è totalmente decorata a stucco lucido.
L’ ambiente più rappresentativo, ove Rubini teneva concerti privati per gli ospiti, era la “Sala del Pirata”, così chiamata dall’ opera di Bellini che il Rubini seppe interpretare, con la Comelli, in modo assolutamente unico.

L’ ampia sala, alta quanto due piani del palazzo, presenta al centro del soffitto un grande affresco con una scena del Pirata nella interpretazione del nostro Tenore. Alle pareti sono rappresentate, ad affresco monocromo, piccole scene idilliche, ed effigiati ritratti dei più famosi compositori d’opera che collaborarono con Rubini: Rossini, Mercadante, Donizetti, Bellini, Mayr e Pavesi.
Le opere pittoriche della Sala del Pirata sono datate e firmate: “G. Gandolfi F. 1849 colla medaglia”. Il Gandolfi era un giovane pittore bergamasco che si dilettava di musica suonando il pianoforte nei concerti che si tenevano nelle ville di nobili famiglie; Rubini lo conobbe a Mozzo nella villa Lochis ove il Nostro ebbe modo di esibirsi a cadenza annuale per lungo tempo.

Adiacenti a questa sala, verso sud, erano due sale da pranzo, o forse con funzioni di diverso genere; entrando sono dipinte con decorazioni pittoriche a soffitto. La cantina, la cucina e le stanze di lavoro occupavano tutta la fronte di settentrione. La cantina del palazzo era ubicata al piano interrato fuori dell’ area occupata dal palazzo stesso, verso la Rocca, con l’ ingresso dalla cucina; detto locale fu venduto con asta pubblica nell’ anno 1924 ed assegnato al sig. Giovanni Armandi che se ne servì per la sua antica “Trattoria del Vapore”.
La cantina era particolarmente attrezzata per il vino; aveva infatti (anno 1874) botti per una capacità di 48 ettolitri, numerose bottiglie, mastelle, secchie di legno, un imbuto di legno. Nella cantina erano inoltre numerosi vasi di terracotta e di vetro per la conservazione dello strutto e delle verdure.
Il vino per l’ uso del palazzo era prodotto nelle cantine della tenuta agricola della Gasparina e di Masano, entrambe bene corredate per produrre e conservare il vino (l’uva, in quel tempo, era ancora coltivata nelle nostre campagne). Nel 1874 l’ attrezzatura della Gasparina era la seguente: un torchio, 4 novassi, numerose mastelle, e secchie di legno, due imbuti di legno, alcuni tini, sgabelli, travi di sostegno alle botti, botti per 118 ettolitri di vino e una macchina per imbottigliare. Attrezzatura simile esisteva anche a Masano, pur in formato più ridotto. L’ ala est del Palazzo era riservata alle stalle per i cavalli, ai depositi vari: fieno, attrezzi, calessi.
Era una scuderia assai vasta, che giungeva sino alla Contrada Maggiore (l’attuale Via Rubini); fu demolita nell’anno 1960 per la costruzione delle aule per il nuovo Istituto; dal 1898 al 1938 questi locali erano occupati da un fabbro. Nella rimessa, alla morte della Madama Comelli Rubini, avvenuta nell’anno 1874, furono inventariate:
“Una carrettella a tre molle, mezza sterza, senza buffetto, verniciata per le stanghette e carro in rosso, sulla scocca in bleu, coperta in tela americana verde; mezzo calesse a 4 molle, sterza intiera e cassetto, scocca e carro dipinti in bleu filettata in rosso, con buffetto e grembiale foderata in stoffa bianca; americana a quattro molle, con cassetto, mantice e contromantice con vetrine, carro e scocca in bleu scuro filettato in rosso, coperta in stoffa operata bleu; berlina da viaggio a 4 molle, con sederino anteriore e posteriore, mantice e contromantice con vetrine, carro e scocca in bleu scuro, filettato in rosso con timoni, coperta in panno caffè; break a quattro molle, sterza intiera, carro e scocca in verde filettata in nero e bianco, con cuscini coperti in tela americana, stanghette e timone”.
Rubini, ben sappiamo dalle lettere, viaggiava per tutta Europa con questi mezzi, alla guida del fido servitore ed amico Mattia Borrello; ed anche la Comelli, nel lungo periodo di vedovanza, utilizzò di frequente le carrozze di palazzo Rubini. Il piano superiore era totalmente riservato alle camere da letto. La famiglia Rubini occupava tutta l’ala Sud, mentre agli ospiti era riservata l’ala nord, con una scala d’accesso indipendente. La camera da letto dei coniugi Rubini era quella in angolo sud-est, tra le attuali Vie Rubini e Comelli. Tutte le camere, disimpegnate da un vasto corridoio interno, erano decorate con raffigurazioni a fresco con personaggi e paesaggi entro intrecci floreali o geometrici di raffinatissima fattura. Degna di menzione è certamente la cosiddetta “Sala del Tesoro” al centro dell’ ala sud, sopra la Rotonda, splendida nella sua veste classicheggiante ed eclettica; qui i Rubini conservavano gelosamente i preziosi doni degli Imperatori e dei Principi, accumulati con grande dovizia durante la carriera. Dopo la morte della Comelli la sala fu sede del Museo per quasi un secolo.

Dall’anno 1880 nel Palazzo Rubini, secondo il desiderio del grande Tenore, hanno sede le scuole superiori di Romano; dapprima il Ginnasio, poi una scuola di dattilografia e una scuola di lavoro, successivamente trasformata in Scuola di Avviamento Professionale, ed infine il Liceo Classico, che rimase funzionante fino all’anno 1955. Nei primi anni del Ginnasio, nel palazzo trovarono alloggio anche i Professori. Successivamente il Palazzo ha ospitato le scuole per Geometri e Ragionieri e le Scuole Magistrali. L’edificio è rimasto pressoché intatto nella sua struttura originaria; tuttavia i più di 100 anni della sua attuale destinazione hanno negativamente influito sulla conservazione delle decorazioni, sia pittoriche che a stucco, nei locali interni adibiti ad aule; i pavimenti a mosaico seminato alla veneziana, sono andati quasi totalmente distrutti. Il Palazzo è servito saltuariamente anche quale alloggio per le truppe: ciò avvenne, ad esempio, negli anni 1989 e 1900, con non pochi danni, particolarmente alle suppellettili ed agli arredi. Le modifiche interne all’ edificio, attuate per esigenze specifiche della nuova destinazione, sono modeste e facilmente identificabili; i lavori risalgono all’ anno 1936 su progetto dell’arch. Giovanni Barboglio di Bergamo, la spesa totale fu di L. 31.539,59.
Successivi progetti (anno 1941, Arch. Barboglio; anno 1955, Ing. Angelucci) che prevedevano modifiche più sostanziali all’ architettura dell’edificio, rimasero solo sulla carta. La nuova ala della scuola, con negozi al piano terreno ed aule al piano superiore, fu realizzata nell’anno 1961/62 su progetto dell’Ing. G.B. Finazzi, sull’area originariamente occupata dai locali rustici del palazzo e sull’area della casa Masla acquistata dall’Amministrazione Rubini nell’anno 1959. Nell’anno 1974 è stato realizzato un ultimo intervento di adeguamento del Palazzo su progetto dell’ Arch. B. Cassinelli (portineria, primo e secondo piano). Dopo il 1980 sono iniziate le prime opere di restauro conservativo. Dapprima le sale da adibire a nuovo Museo – Sala da Bigliardo, Sala del Pirata, le due sale da pranzo – poi la Sala Rotonda ed infine il restauro della facciata interna ed esterna.

La costruzione del Palazzo ebbe luogo in due tempi ben distinti: dal 1845 al 1848 l’ala est, dal 1848 sino a compimento l’ala ovest; ciò per consentire la continuità della residenza della famiglia Rubini, dapprima nella primitiva casa paterna, successivamente nella nuova ala est. Le due fasi sono documentate da una lettera che Rubini scrisse alla moglie, che si trovava a Parigi in visita a parenti e conoscenti, nel 1848. In essa il tenore scrive “…oggi è arrivato anche l’ingegnere Sig. Pajoncelli per finire il resto della casa….”; l’ edificazione dell’ala ovest era iniziata, appunto, verso la primavera del 1848, ed era già a conclusione l’anno successivo, come risulta dalla data apposta dal pittore Gandolfi alle decorazioni della Sala del Pirata. Alcune opere di completamento furono eseguite negli anni successivi; i giardini, meridionale e settentrionale, furono progettati dal romanese Ing. Angelo Ponzetti nell’anno 1889 per incarico dell’ Amministrazione. Il Ponzetti era già al servizio di Rubini nel 1850, quale consulente in loco e direttore di cantiere.
Il progettista del Palazzo era rimasto sconosciuto per mancanza di documentazione ed in assenza di attribuzioni certe; si erano fatti i nomi anche di illustri architetti lombardi dell’ epoca. Solo ora, dopo una più attenta e completa lettura dell’ Epistolario Rubini, si è potuto giungere alla sua individuazione. Il suo nome compare nella lettera del 3 marzo 1848 sopra citata, ed è l’ Ing. Arch. Pietro Antonio Pagnoncelli, bergamasco (1806 – 1862); ancora pressoché ignoto alla critica storica dell’ epoca, è ora in fase di rivalutazione. Già conosciuto come progettista, nel 1838, dell’altare dei S.S. Pietro e Paolo di Castione della Presolana, dell’ ospedale di Calcinate, e del progetto di riduzione a villa del convento dei Montecchi A Credaro, gli si possono ora attribuire altre importanti opere. Oltre a Palazzo Rubini, infatti, il Pagnoncelli progetto in Romano nel 1847 il Palazzo Comunale e quasi certamente, ancora per il nostro Rubini, la casa di campagna detta la “Gasparina”. Nei due più importanti edifici di Romano – palazzo Rubini e Palazzo Comunale – possiamo riconoscere un identico schema a corte interna rettangolare su piloni di pietra, e la facciata conclusa a timpano classico; anche se certamente Palazzo Rubini si differenzia in modo netto per una più raffinata varietà di dettagli architettonici, scultorei e decorativi, che non appaiono nel Palazzo Comunale, la fisionomia stilistica di quest’ultimo è la medesima. Suo è, quasi sicuramente, anche il progetto di Villa Rubini in Masano che ripete molti dettagli architettonici del Palazzo di Romano.